Autismo /ADHD

Atena ha scritto:Jessica a proposito di neurodivergenze puoi parlare anche dell’alto potenziale cognitivo (APC)?

Volentieri! L'APC è fortunatamente una dicitura appropriata significa infatti Alto Potenziale Cognitivo e quello che il nome dice, è ciò che la situazione è
Ovvero, si tratta di persone, ma in particolare spesso bambini, che sono caratterizzate da un elevato QI (Quoziente Intellettivo), definito sopra la media per i punteggi riscontrati nei test cognitivi (tra 80 e 120 il QI è nella media, pertanto si considera da 125 in su).

Si individua di solito con più facilità in infanzia perché è la fase di sviluppo in cui la presenza di competenze appartenenti ad età successive è più facile da individuare, attraverso il confronto sia con il livello di sviluppo dei pari, sia con il livello di sviluppo di altre competenze (ad esempio motorie o sociali) dello stesso individuo.

Sono spesso bambini curiosi, sensibili, la cui personalità si fa notare dagli adulti, dei quali spesso preferiscono la compagnia perché i loro interessi sono poco affini a quelli dei coetanei. Tipicamente sono studenti di alto profitto, capaci di sostenere apprendimenti destinati ad età di sviluppo più avanzate. I risultati nell'apprendimento scolastico, però, in parte dipendono dalla compresenza o meno di un Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA). Negli USA già da diverso tempo c'è attenzione ai bambini "gifted", ai quali viene spesso consigliato di frequentare classi avanzate in specifiche materie per le quali mostrano propensione, dato che sottoporli ad insegnamenti non stimolanti per loro potrebbe al contrario comportare un basso livello di profitto (negli USA questo è possibile perché gli alunni frequentano classi diverse in base alla materia, in Italia ad esempio questa manovra avrebbe delle criticità, richiedendo al bambino di distaccarsi dal gruppo-classe per immettersi in un gruppo-classe diverso, con un impatto sociale tutto da gestire).

Da adulti, è meno facile osservare queste differenze, per alcuni motivi tra cui subentra la compensazione (i pari sviluppano altre competenze e il QI da solo passa in secondo piano), oppure la frustrazione e i fallimenti accumulati impattano l'autostima (così la persona dotata non riesce a esprimere il potenziale), così come l'uso di altre competenze diventa a volte prioritario rispetto al QI stesso a livello dell'ambiente (es. in un luogo di lavoro, più facilmente avanza una persona con skill sociali ottimamente adeguate al contesto e non semplicemente la persona più "intelligente").

Un aspetto da apprezzare della dicitura APC è il fatto che sottolinea come l'abilità intellettiva sia un potenziale, ovvero non una garanzia di risultati sopra la media, evidenziando come l'effettivo prodotto delle competenze cognitive di una persona dipenda da moltissimi altri fattori, tra cui il suo sviluppo sociale ed emotivo, che a sua volta è fortemente influenzato dal contesto in cui il soggetto si trova o si è trovato e dalla capacità di questo contesto di favorire lo sviluppo di risorse affinché l'individuo possa efficacemente realizzare il suo potenziale.

In altre parole, una persona molto dotata intellettivamente ma che si trova in un contesto dove vengono premiate o coltivate altre competenze potrebbe trovarsi a non mostrare un successo (definito poi come..?) superiore alla media, ma potenzialmente anche al di sotto. L'alto potenziale cognitivo può essere anche di ostacolo in molti modi allo sviluppo della persona, per molti motivi: alienazione/alterizzazione da parte del gruppo dei pari, invidie, trattamento differenziale, ecc. ma anche noia, frustrazione, senso di non appartenenza al gruppo sociale, difficoltà a trovare un ambiente idoneo per esprimere al meglio le proprie caratteristiche.

Soprattutto da adulti, senza voler generalizzare, un alto potenziale cognitivo può ad esempio significare imparare a essere manipolatori (compensando le difficoltà sociali con "strategie" che permettono di trovare scorciatoie, approfittando degli altri) o viceversa rendersi conto più facilmente di come gira il mondo e soffrire per le ingiustizie e slealtà che si verificano ogni giorno nella realtà sociale e amplificando il disadattamento all'ambiente.

Un altro aspetto è il fatto che il bambino con APC spesso cresce ricevendo grandi lodi e attenzioni per le sue capacità e oggi sappiamo come questa enfasi sul talento personale, piuttosto che sull'impegno, è controproducente: infatti quando la persona non riuscirà e a fare qualcosa, non avrà modo di attingere ad altre risorse psicologiche per affrontare il compito e questo farà spazio alla frustrazione e al senso di fallimento, con ricadute negative sull'autostima e il senso di auto-efficacia, che apre il passo ad una spirale di insuccesso.

Il contesto familiare o scolastico possono purtroppo partecipare a questo "abbandono", per esempio trascurando di aiutare il bambino a costruire altre competenze a fianco a quelle che già possiede perché "tanto tu sei bravo/a, ti riesce tutto". E anche se è vero che le abilità intellettive permettono di trovare nuove strategie compensative, è anche vero che non sono le uniche competenze e che non avere consapevolezza che serva "altro" oltre all'intelligenza può lasciare la persona un passo indietro nel suo sviluppo.

L'APC spesso mostra una componente ereditaria, ovvero genitori e fratelli del bambino possono mostrare segni di elevato potenziale cognitivo e può esserci la compresenza di autismo, ADHD o DSA (che io considero il trittico della neurodivergenza, ovvero aspetti diversi di un funzionamento cognitivo della stessa matrice).

Tuttavia, l'APC non è una caratteristica associata alla neurodivergenza di per sé, in quanto individui con diagnosi di autismo e/o ADHD possono avere un QI sotto la norma (nei DSA in passato invece un QI sotto la norma escludeva la diagnosi, mentre oggi si fa riferimento alla discrepanza di competenze, ovvero le difficoltà del soggetto nelle aree accademiche deve essere superiore alle aspettative in base al QI, anche se questo è sotto la norma).

Le stime attuali parlano di 50% dei soggetti con disturbo dello spettro autistico come associato a disabilità intellettiva. Il fatto è che queste stime sono influenzate dagli anni in cui la diagnosi di Asperger separava purtroppo l'autismo in base al QI; l'altro fattore di impatto è che molti adulti ad alto funzionamento non sono mai diagnosticati e quindi il numero di soggetti autistici con QI nella norma o superiore alla norma è ad oggi sottostimato. E' probabile che la presenza di disabilità intellettiva associata ad autismo sia complessivamente vicina alle proporzioni della popolazione neurotipica.

Una lezione importante dell'APC è che nel bene o nel male, a prescindere dalle tante o poche risorse a disposizione, il supporto del contesto e la consapevolezza di "come siamo fatti" sono sempre ingredienti fondamentali per l'adattamento

Eowyn ha scritto:La voce è della maggior parte dei miei insegnanti (a partire dalle elementari fino all'università), e anche poi al lavoro me lo hanno detto ("non devi fare così la sensibile/emotiva", o "la timidezza è una giustificazione quando non si ha nulla da dire").

Lasciami dire che questi commenti sono abusanti e manipolatori. Mi dispiace molto che ti siano stati rivolti!   Non ci sono scuse per averli pronunciati e non riguarda come sei fatta tu, ma molto di più come sono fatti loro..!

Eowyn ha scritto:di solito tutti mi guardavano con un misto di perplessità e disprezzo, come se in qualche modo li ingannassi

Questo somiglia proprio a quello che io chiamo l'"effetto neurodivergente"...i neurotipici sanno istintivamente che il neurodivergente, ad esempio, è "diverso". Senza scendere nella metafisica, ma lo fiutano, percepiscono micro-comportamenti che a livello automatico gliene fanno percepire l'"alienità". Non sanno perché, non sanno cos'è che "non va", ma i loro processi sociali lo portano istintivamente a escluderlo o prenderlo di mira. Il neurodivergente, invece, tipicamente non comprende allo stesso modo questa differenza tra sé e gli altri, la impara di riflesso perché viene trattato come "diverso", ma che esista una differenza di solito lo deve imparare in modo esplicito per capirlo, come per tante altre cose. Dopo, quando prende consapevolezza che esistono due registri, allora è un'altra storia!  

Non voglio mettere il carro davanti ai buoi nel tuo caso, ma ti dico solo che nel mio caso il primissimo, enorme sollievo che ho provato realizzando di essere autistica è stato: "Oh...questo è quello che hanno sempre visto tutti in me e io sono solo l'ultima a saperlo". Ho sempre percepito un senso di "storcere il naso" nei miei confronti, ho sempre percepito di essere "strana" ai loro occhi (non che poi nessuno dica mai nulla...per carità! per i neurotipici è sacrosanto essere "persone educate" ), quindi mi sono sempre sentita rifiutata senza che nessuno mi spiegasse perché. E non avevo la consapevolezza sufficiente per chiederlo. A meno che non fossi in un ruolo di autorità (es. insegnante), allora lì la pagina cambiava completamente, ma è demoralizzante sapere che era solo un ruolo sociale a fare la differenza (perché alla fine, io sono la stessa persona!).

Anche io ho ricevuto bullismo da parte di un'insegnante (paradossalmente mai dai pari, mi scansavano e basta   e d'altra parte, io, loro!) - totalmente ingiustificata, perché le sue materie mi piacevano, andavo bene- ma col senno di poi ho capito bene che reagiva proprio al mio autismo. Esempio: in prima liceo io scelsi di non andare in gita all'estero perché spendere centinaia di euro in una famiglia monoreddito per fare un'esperienza che non desideravo fare mi sembrava folle. Questa prof arrivò ad interrompere la lezione per chiedermi davanti a tutti perché fossi l'unica che non voleva andare. Per decenza, evitai di dire che era perché i miei compagni alle feste si drogavano e facevano sesso quindi il problema secondo lei ero io...

All'inizio della seconda liceo, il primo giorno di scuola seguii l'unica amica che avevo a sederci in banco dove aveva deciso lei, ed era per caso l'ultima fila. Questa prof non mancò di richiamarmi di nuovo davanti a tutti "ah ti sei messa pure in ultima fila, già sei poco appariscente di tuo..." E io presa un po' in contropiede le risposi "Mah...e mi metterò un lampadina in testa"

Nella mia estrema ingenuità, comunque, non ho mai "sentito" molto il comportamento degli altri nei miei confronti, perché...fondamentalmente non prestavo attenzione alla gente intorno è stata un po' una salvezza, perché tante cose mi sono scivolate... però ci ho fatto i conti dopo, quando sono entrata in relazioni significative, di coinvolgimento personale e di vita.

Grazie Jessica,

Ti ho chiesto se parlavi dell’ APC perché volevo avere informazioni anche da te in merito.

Finalmente  ho trovato gli altri mandarini non so se ricordi l’immagine dello spicchio di mandarino incastrato nell’aglio!

Jessica ha scritto:
Una lezione importante dell'APC è che nel bene o nel male, a prescindere dalle tante o poche risorse a disposizione, il supporto del contesto e la consapevolezza di "come siamo fatti" sono sempre ingredienti fondamentali per l'adattamento

Per me la “diagnosi” (virgolettata perché non è una diagnosi ufficiale) è stata illuminante, ho provato un enorme senso di sollievo nel sapere che “non sono sbagliata io”, ma sono fatta così! Ha aiutato molto la mia autostima.

Alcune mie caratteristiche per me stavano diventando un “problema” perché le vedevo come una cosa da cambiare, invece ora le vedo come risorse!

Atena ha scritto:Finalmente  ho trovato gli altri mandarini non so se ricordi l’immagine dello spicchio di mandarino incastrato nell’aglio!

E come no..! sono felice che tu li abbia trovati!! Dov'erano nascosti??

Atena ha scritto:
Per me la “diagnosi” (virgolettata perché non è una diagnosi ufficiale) è stata illuminante, ho provato un enorme senso di sollievo nel sapere che “non sono sbagliata io”, ma sono fatta così!

Mi sa che mi sono persa qualche passaggio... o forse ci siamo già dette tutto senza dircelo

Ti va di raccontarci cosa ti ha aiutato a identificarti sullo spettro?
In ogni caso, congratulazioni per la tua nuova consapevolezza di te

Jessica ha scritto:
Ti va di raccontarci cosa ti ha aiutato a identificarti sullo spettro?

Non mi hanno “diagnosticato” lo spettro ma solo l’APC.

Probabilmente nello scrivere ho dato per scontato alcune cose

Comunque leggendo un articolo in cui si parlava di APC alla frase “pensiero arborescente“ ho avuto un illuminazione, ecco i miei pensieri!!!.

Da lì mi sono immersa in mille letture sul’APC e mi rivedevo in moltissime cose.

Successivamente ne ho parlato con la terapeuta (il caso vuole che sia formata su questi aspetti) che mi ha confermato i miei sospetti!

Se volessi approfondire il discorso mi indirizzerebbe verse strutture specializzate, ma non penso di farlo, perché so che se mi sento sotto esame, non sono io, mi nasce una sorta di ansia di prestazione.

Anche se non ho la conferma ufficiale, a me è bastato  questo per cambiare il mio modo di percepirmi

Atena ha scritto:Successivamente ne ho parlato con la terapeuta (il caso vuole che sia formata su questi aspetti) che mi ha confermato i miei sospetti!

Wow, sei stata molto fortunata! ad oggi l'autismo nell'adulto è ancora un semi-sconosciuto da parte dei colleghi.

Certamente, se hai già avuto il parere di un professionista Psicologo, questo è già una convalida importante è un percorso frequente nell'adulto, soprattutto se non c'è necessità di una certificazione. In ogni caso, anche l'auto-diagnosi ha una sua validità e diritto

Posso darti il benvenuto ufficiale, allora? (ti ho pensata spesso durante il mio percorso!)

Jessica ha scritto:
ti ho pensata spesso durante il mio percorso!

Ora sono curiosa di sapere tutto

Eheh ci sentiamo in PM allora

Ciao a tutte! Ultimamente ho pensato e ripensato a questo topic perché mi sto facendo molte domande a riguardo, soprattutto perché mi capita di ripensare ad alcune mie personali tendenze, presenti o passate. Tutto è nato parlando con una collega che mi racconta di come procedono le cose in azienda durante la mia maternità, nel frattempo c'è stata l'acquisizione da parte di una multinazionale e sembra che una delle attività sia proprio diventata "fare conoscenze". Lì ho avuto un'illuminazione: ho sempre odiato le conversazioni di circostanza, in tutte le loro forme, mi mette più a mio agio il silenzio piuttosto. Si tratta di una situazione che non mi mette a mio agio e inevitabilmente finisco sempre a cadere nel silenzio se non interviene qualcun altro, semplicemente perché non riesco a portare avanti una conversazione di cui fondamentalmente non mi importa nulla. Ecco, l'idea che la mia attività lavorativa possa dirottare su questo mi mette francamente in difficoltà e so che non sarebbe compatibile con la mia persona, allo stesso tempo ho anche realizzato che questa mia attitudine mi ha sempre un po' penalizzata sia nella carriera scolastica/universitaria che lavorativa: ero brava, certo, ma risaltava sempre la persona che oltre a essere brava riusciva a "fare l'amicona". A lavoro mi irrita particolarmente partecipare a call in cui la mia presenza non è richiesta, per altri è l'opportunità di stringere contatti, mentre nella vita personale ho poche amicizie salde con cui passo del tempo piacevole ma sto molto molto bene anche da sola.

Ripensando anche alla mia infanzia ricordo che sì, mi piaceva andare al parco giochi, ma il mio ideale era fare su e giù sull'altalena inventando storie nella mia mente piuttosto che interagire con gli altri bambini, oppure in inverno mi piaceva sempre inventare storie lanciando la pallina sul muro in camera dei miei genitori.

Non so se si tratta solo di mie supposizioni o altro, però forse sto trovando una serie di risposte a quella che ho sempre ritenuto una mia "stranezza".

Accipicchia, mi ero persa questo messaggio!!Mi dispiace, il forum sta facendo un discreto casino con l'indicazione di "nuovo messaggio"

Molto interessanti questi aspetti che stai notando, Mulan
oltre alla tendenza all'evitamento delle interazioni sociali non orientate allo scopo, da sottolineare anche la tua consapevolezza già da bambina che questi tratti comportassero "diversità" rispetto agli altri.

Una costante dell'esperienza dei soggetti autistici è proprio la percezione intuitiva, sin dall'infanzia, di essere differenti dagli altri. Molti crescono pensando cose come "vengo da un altro pianeta" oppure "sono diverso/a", "nessuno mi capisce", "per gli altri sono strano/a". E' curioso perché è qualcosa che soprattutto senza diagnosi è impossibile da spiegare a se stessi, perché non ha una logica evidente, eppure la sensazione tende ad essere sempre nitida e certa da che l'individuo abbia memoria. Dopo la diagnosi, o anche solo quando si comincia ad avere il sospetto, è quella cosa che poi diventa "ah! Ecco cos'era..."

Per aneddoto vorrei aggiungere anche che ultimamente ho ripetuto alcuni test auto-somministrati della procedura di valutazione che uso anche nella mia pratica con i pazienti e rispetto a 2 anni fa quando li ho fatti per la prima volta, i miei punteggi autistici sono aumentati e quelli neurotipici si sono abbassati

E qualcuno potrebbe dire "ma allora autistici si diventa?.."

No, perché quei tratti ci devono poter essere sempre stati per essere una diagnosi, ma la consapevolezza di quali tratti sono parte dello spettro ha un ruolo moooolto importante nella nostra capacità di riconoscerli ed identificarli per come si presentano. Dato che molti autistici adulti hanno alti punteggi di camuffamento (masking), normalizzare i propri tratti ("faccio questo, però vabbe', alla fine lo fanno tutti, no?") o ricondurli a idiosincrasie personali ("faccio questo e gli altri no, è una cosa mia") diventa un'automatismo che può farci apparire molto più neurotipici di quello che realmente siamo (o soprattutto saremo, quando e se scatta il burnout!)

E' uno dei motivi per cui anche da adulti è facili eludere le maglie della diagnosi anche all'interno di un percorso terapeutico, come per ansia o depressione, ecc. e finché non si scompensa il meccanismo possiamo apparire "normali a tutti gli effetti" (quando in realtà siamo subclinici).